I cambiamenti degenerativi dell'endometrio sono direttamente correlati all'età e alla fertilità nelle giumente. L'endometrite degenerativa cronica (CDE) è correlata con la ritenzione di liquidi uterini e ridotta capacità di modulare l'infiammazione uterina. La presenza di E.coli e LPS (endotossine) in lochia post-parto precoce favoriscono lo sviluppo di infezioni uterine. Uno studio è stato condotto per studiare la relazione tra contaminazione batterica intra-uterina, livelli di endotossina e lo sviluppo di endometrite nelle vacche e cavalle che hanno sperimentato una distocia fetale o mantenuto la loro placenta.
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Come sappiamo l’Endometrite riduce la fertilità, ed è causa di un danno economico nell’allevamento per ciò che riguarda la produzione di carne e latte. Allo stesso tempo, l’endometrite persistente indotta dall’accoppiamento (PMIE) rappresenta una grave riduzione della fertilità nei cavalli. Tale drastica riduzione della fertilità riduce notevolmente il tasso di successo delle inseminazioni artificiali, causando importanti perdite economiche, specialmente se parliamo del seme di stalloni di grande valore. Infatti, studi mostrano che l'endometrite riduce il tasso di gravidanza del 16%. Circa l'80-100 % delle vacche presenta una contaminazione batterica intrauterina nelle prime due settimane dopo il parto. Nella maggior parte dei casi, la malattia clinica non si sviluppa, ma nel restante 10% - 20% delle mucche, l'infezione può portare a infiammazione uterina cronica.
Nelle vacche, sono state adoperate diverse terapie per trattare l'endometrite, compresa la somministrazione sistemica o intrauterina di antibiotici, o la somministrazione di PGF2α (prostaglandina F2α) e il suo analogo, o la soluzione di Lugol, trattasi di un'infusione intrauterina di antisettici, anche se sembra produrre effetti collaterali sulla futura fertilità delle mucche.
Il Plasma ricco di Piastrine (PRP) è un rimedio utilizzato principalmente nella rigenerazione dei tessuti grazie ai fattori di crescita presenti, con potenziale mitogenico e antinfiammatorio. In particolare la presenza di molecole antinfiammatorie, compreso l’HGF, conferisce al PRP la capacità di sopprimere o mediare il processo infiammatorio.
In questo studio l'effetto del PRP è stato sperimentato in vivo su animali sani (senza infezione endometriale) e in un modello in vitro in cui le cellule endometriali bovine sono state stimolate con LPS.
I risultati indicano che il PRP è utile per mantenere e/o aumentare il numero di recettori del progesterone nei tessuti uterini. Nell'esperimento in vitro, le cellule endometriali bovine sono state coltivate con due diverse concentrazioni di PRP (5 % e 10 %). Soprattutto nella concentrazione al 5%, il PRP è stato in grado di aumentare la proliferazione cellulare anche sulle cellule endometriali determinando anche una maggiore espressione dei geni che svolgono un ruolo importante nella riproduzione.
Ormai da alcuni anni, infatti, il PRP è stato molto utilizzato per il trattamento della PMIE, dimostrando una riduzione del grado di infiammazione. Solitamente vengono infusi dai 10 ai 20 ml di PRP autologo all’interno dell’utero, 4 ore dopo l’inseminazione artificiale. In questo studio, in seguito all’applicazione di PRP, è stato dimostrato che il PRP riduce l’infiammazione che solitamente segue l’inseminazione, specificatamente in giumente suscettibili ad endometriti.
(Effect of use of platelet rich plasma on post-breeding uterine inflammatory response of mares, MFS Reghini et al., Journal of Equine Veterinary Science, 2014; 34:127).
In un ulteriore studio, in seguito all’infusione intra-uterina di 10 ml di PRP, il tasso di gravidanze positivamente portate a termine è stato confrontato con giumente “controllo” che non avevano ricevuto infusione di PRP. Il tasso di positività delle gravidanze era notevolmente diverso: 67% per le giumente trattate con PRP contro il 19% dei controlli (non trattati).
(The effect of platelet-rich plasma (PRP) on intraluminal fluid and pregnancy rates in mares susceptible to persistent mating-induced endometritis (PMIE). ES Metcalf et al., J. Equine Vet. Sci. (2014); 4:128)
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